La Guerra e il dopoguerra (1915-1924)

Durante la grande guerra il telefono svolse un’importante funzione strategica: esso fu utilizzato per le comunicazioni tra comandi, retrovie e prime linee; inoltre le competenze degli esperti del settore furono sfruttate nelle attività di intercettazione telefonica.
 
 Gli accordi di pace dopo la vittoria

Al termine del conflitto bellico diversi articoli delle clausole comprese nei trattati di pace di Versailles e di Saint Germain interessarono direttamente i servizi telegrafici, telefonici e radiotelegrafici. In particolare, per quanto riguarda l’Italia, l’Austria fu costretta a cedere cavi o porzioni di cavi che servivano i nuovi territori italiani.
Per quanto riguardava inoltre l’uso dei brevetti industriali, in base alle disposizioni dei due trattati, era previsto che l’amministrazione italiana potesse utilizzare per i bisogni del proprio servizio, e quindi per l’interesse pubblico, qualsiasi brevetto germanico o austriaco su sistemi e apparecchi telegrafici, telefonici e radiotelegrafici. L’indennità prevista non doveva essere versata alla Germania o all’Austria ma doveva essere calcolata nel conto delle riparazioni di guerra. Anche per questa via, dunque, la prima guerra mondiale, così come accadrà puntualmente per i conflitti successivi, diede un significativo impulso allo sviluppo tecnologico del settore. D’altro canto in tutte le guerre moderne, fino alle attuali, la comunicazione è una risorsa fondamentale che segna, per chi possiede le tecnologie più evolute e affidabili, un vantaggio strategico determinante ai fini dell’esito delle sorti del conflitto.


 
Lo sviluppo della rete interurbana

Già con la legge 253 del 20 marzo 1913, il ministro delle Poste e dei Telegrafi Calissano aveva voluto occuparsi dell’ampliamento e del riordinamento generale della rete interurbana. La legge aveva fissato le linee di un programma che prevedeva in primo luogo la costruzione di una grande arteria centrale di comunicazioni in cavo sotterraneo da Torino a Napoli, attraverso Bologna, Firenze e Roma, con ramificazioni attingenti Milano, Genova, Venezia e Livorno. L’inizio del conflitto bellico aveva sospeso il progetto, che fu ripreso in esame solamente a partire dal 1919. Il nuovo progetto, che prevedeva la costruzione di una prima parte della rete interurbana italiana, e cioè il collegamento Milano-Torino-Genova, fu affidato ai maggiori esponenti dell’industria nazionale costruttori di cavi: la società Pirelli & C. di Milano e la società Ing. V. Tedeschi & C. di Torino. Queste due società, con la partecipazione della Western Electric Company, una società americana costruttrice di materiale telefonico e associata all’American Telegraph & Telephone Co., costituirono nel 1921 la Sirti (Società italiana reti telefoniche interurbane). Il 26 novembre 1921 fu firmato il contratto fra la società Sirti e lo Stato per la fornitura e l’impianto del cavo Milano-Genova-Torino. Per l’esecuzione dell’impianto furono assegnati alla società ventisette mesi di tempo. La Sirti rispettò i termini di consegna e l’impianto venne presentato al collaudo il 2 agosto 1924. Alla conclusione dell’opera, l’importo delle forniture e dei lavoro fu superiore a 45 milioni di lire, la lunghezza totale dei conduttori raggiunse i 40.000 km e gli autoveicoli utilizzati per la posa del cavo percorsero circa 320.000 km.
 
 Il dibattito sul telefono durante il fascismo

Nel primo dopoguerra, con la salita al potere del regime fascista, il dibattito intorno alla sistemazione del servizio telefonico ritornò in auge.
L'assenza di standardizzazione nelle macchine e nei sistemi, e quindi la concorrenza, più o meno corretta, delle diverse case produttrici, avevano costituito per l’Amministrazione di Stato per l'impianto e l'esercizio dei telefoni un ulteriore ostacolo nell’affermare la propria immagine come autorevole e positiva. Ogni casa fabbricante (Western, Kellog, Ericsson, Siemens, ecc.) aveva infatti un suo sistema telefonico, che non dialogava necessariamente con gli altri. La statalizzazione, eliminando le concessioni che si sovrapponevano sullo stesso territorio, aveva semplificato solo in parte il problema. La scelta di un sistema unico nazionale, senz’altro positivo per molti aspetti, avrebbe però implicato di fatto anche il monopolio di una sola casa costruttrice. Neanche il governo di Mussolini, che, contando sul potere politico assoluto, poteva fare a meno di molte mediazioni a livello locale e nelle periferie, nel momento in cui varò i provvedimenti per la riprivatizzazione del servizio telefonico optò per un concessionario unico. Il ministro Di Cesarò nell’illustrare il Decreto del febbraio 1923, con cui si sanciva la decisione di riaffidare al settore privato il servizio telefonico, attraverso concessioni di lunga durata, fu a tal proposito esplicito: anche se i vantaggi della standardizzazione sul piano tecnico erano evidenti, non si aveva alcuna intenzione di favorire una sola fra le potenti case costruttrici. Si disse che la concorrenza avrebbe ancora una volta favorito la qualità del servizio e avrebbe reso attuabile la minaccia del riscatto da parte dello Stato. Detto ciò non va certo trascurato il fatto che alle spalle delle principali case costruttrici vi erano influenti gruppi finanziari, il cui consenso non era il caso di mettere in crisi con scelte escludenti; né d’altra parte sembrò opportuno a quel governo favorire la nascita di un gruppo finanziario privato troppo potente, con tutta probabilità con la partecipazione di capitali stranieri. La questione sul numero delle concessionarie si chiuse da lì a poco. Il territorio italiano fu diviso in cinque zone da affidare a cinque diverse concessionarie. Una sesta impresa privata avrebbe dovuto gestire il servizio interurbano. Nei fatti però la gara per la “sesta zona” andò deserta, e lo Stato, attraverso l’Asst (Azienda di Stato per i servizi telefonici), continuò a gestire la comunicazione interurbana. Ancora una volta il riordino del sistema telefonico prese la forma di un sistema “misto” pubblico-privato. Nelle pagine della rivista «Telegrafi e telefoni», dove si erano dati per alcuni anni battaglia dirigenti e ingegneri del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, impegnati nel proporre nuove soluzioni tecniche, organizzative e legislative per la risoluzione dell’annosa “questione telefonica”, nell’ultimo numero del 1923 la direzione ritenne opportuno ospitare un lungo componimento di argomento non proprio tecnico: un poemetto in quartine rimate intitolato La Marcia su Roma e dedicato al “nocchiero invitto” Benito Mussolini. La discussione su quali soluzioni adottare si era chiusa e, in ogni caso, non sarebbe spettato più ai tecnici, ma esclusivamente alla politica, intervenire sul tema.

  Sul numero 6 della rivista «Telegrafi e telefoni» del 1920 venne pubblicato l’elenco dei...
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