Telefono radio e tv: dal quiz al televoto

Nel 1965, quando gli abbonati Rai superarono la quota di 6 milioni la Tv era in Italia il secondo elettrodomestico più diffuso, dopo il frigorifero e prima della lavatrice. Nel decennio successivo entrò nelle case di tutti gli italiani. Alla televisione, come prima alla radio, i servizi telefonici offrirono, e offrono ancora oggi, supporti fondamentali per l’informazione e per l’innovazione, ma anche occasioni per il coinvolgimento diretto del pubblico. Se la Tv e la radio sono mass media “classici”, e cioè mezzi di comunicazione monodirezionali, da un punto a una massa, il telefono, a partire dagli anni in cui fu presente nelle case di quasi tutti italiani, offrì alla radio e alla tv l’opportunità di interagire con il pubblico, vasto e disperso nel territorio, ma anche desideroso di poter in qualche modo partecipare ed “esserci”.
 
Il telefono e la "neotelevisione"

Il 1975 fu una data importante nella storia della radio e della televisione in Italia perché decretò la fine del monopolio Rai. Negli anni successivi, l’esplosione delle tv commerciali, la moltiplicazione dei canali, la presenza costante della pubblicità, il condizionamento dell’audience furono fra le tante caratteristiche di quella che gli studiosi vennero definendo come “neotelevisione”.
Caratteristica principale della neotelevisione era, secondo Umberto Eco, il fatto che sempre meno parlasse del mondo esterno e sempre più parlasse di se stessa e del contatto che andava stabilendo con il proprio pubblico. “Non importa cosa dica o di che cosa parli (anche perché il pubblico con il telecomando decide quando lasciarla parlare e quando passare su un altro canale). Essa per sopravvivere a questo potere di commutazione, cerca di trattenere lo spettatore dicendogli: ‘io sono qui, io sono io, e io sono te’. La massima notizia che la neo-tv fornisce, sia che si parli di missili o di Stanlio che fa cadere un armadio, è questa: ‘ti annuncio, caso mirabile, che tu mi stai vedendo; se non ci credi, prova, fai questo numero e chiamami, io ti risponderò’.
Il telefono entrava così prepotentemente in molte trasmissioni televisive che facevano del contatto diretto con il pubblico la ragione della loro esistenza.
 
Portobello e l’asta televisiva

“Il telefono di Portobello, e di trasmissioni analoghe, mette in contatto il gran cuore della televisione col gran cuore del pubblico. E’ il segno trionfante dell’accesso diretto, è ombelicale, magico. Voi siete noi, voi potete entrare a far parte dello spettacolo. Il mondo di cui la Tv vi parla è il rapporto tra noi e voi. Il resto è silenzio”. Così scriveva Umberto Eco riferendosi al programma che indicava all’origine della neotelevisione.
Portobello debuttò su Raidue il 27 maggio 1977. A condurlo, per sei edizioni, fino al 1983 e sempre in prima serata, fu il noto presentatore Enzo Tortora. Il programma era una sorta di mercatino. In ogni puntata gli inserzionisti, dopo aver illustrato le loro curiose proposte e invenzioni, venivano sistemati in cabine dotate di telefono sottoponendosi, di fronte agli spettatori, alla pratica del “chi offre di più”.
Portobello, che arrivò a sfiorare i ventisei milioni di spettatori, è da molti indicato anche come il precursore della cosiddetta Tv “privata” e “reale”.
“Le neotelevisioni private hanno inventato l’asta - scriveva ancora Umberto Eco -. Col telefono dell’ asta il pubblico pare determinare il ritmo dello spettacolo stesso. Di fatto, le telefonate sono filtrate ed è legittimo sospettare che nei momenti morti si usi una telefonata fasulla per alzare le offerte. Col telefono dell’ asta lo spettatore Mario dicendo ‘centomila’ convince lo spettatore Giuseppe che vale la pena di dire ‘duecentomila’. Se telefonasse uno spettatore soltanto, il prodotto sarebbe venduto a un prezzo molto più basso. Non è l’uomo dell’asta che induce gli spettatori a
spendere di più, è uno spettatore che induce l’altro, ovvero il telefono. L’uomo dell’asta è innocente”.
 
Pronto, Raffaella?

Il 3 ottobre 1983, nell’ora di pranzo, Raffaella Carrà inaugurava un salotto televisivo destinato ad avere grandissima popolarità grazie ai quiz e alle conversazioni telefoniche in diretta con gli spettatori. Nello studio, arredato come un’appartamento privato con vista su Roma, la sorridente presentatrice elargiva milioni di lire in seguito a risposte esatte a domandine a cui tutti avrebbero potuto provare a rispondere. La Carrà, inaugurò un genere, quello dei quiz televisivi al telefono, di
cui sarebbe stata protagonista ancora per molti anni, conquistando la fascia oraria di prima serata.
 
Telefono giallo e Chi l’ha visto?

Poteva la televisione, chiamando a raccolta gli spettatori e invitandoli a partecipare in diretta, intervenire sul corso degli eventi? Questa illusione era a fondamento della cosiddetta “Tv verità”, una versione della quale fu la trasmissione Telefono giallo, condotta con autorevolezza e rigore da Corrado Augias, a partire dal mese di settembre 1987, su Raitre. Ogni settimana nella prima parte del programma veniva proposto e ricostruito un caso giudiziario ancora irrisolto; nella seconda
parte della trasmissione, con le testimonianze degli ospiti in studio e con le telefonate degli spettatori, si cercava di entrare nel merito della vicenda sollevando nuovi interrogativi o fornendo nuovi indizi. Il telefono, sul quale indugiava volentieri l’occhio della telecamera, era proprio il mezzo dal quale ci si aspettava la sorpresa, l’inedita informazione che avrebbe potuto dissipare le ombre di una mistero o far ripartire un’indagine senza sbocchi.
Un anno e mezzo dopo, sempre Raitre, nel solco della “Tv verità”, dava inizio a una trasmissione dedicata a misteri e vicende più quotidiane e, forse proprio per questo, destinati a un maggiore coinvolgimento del pubblico e a un successo del programma che dura tutt’ora. Chi l’ha visto? era un programma dedicato alle persone scomparse: sparizioni involontarie, fughe preparate, rapimenti, erano i temi all’ordine del giorno. Si contattavano familiari e conoscenti, si lanciavano appelli, si
invitava il pubblico a telefonare. Il telefono era latore delle testimonianze più disparate.
 
Dal televoto alle e-mail

Portobello, Pronto, Raffaella?, Telefono giallo, Chi l’ha visto? furono i precursori di un connubio destinato a rafforzarsi. Negli anni Ottanta le telefonate sono entrate a far parte di molte dirette Tv, sia che a chiamare fossero, anche in modo improvvisato, governanti e politici, sia che a farlo fossero i più anonimi spettatori.
La completa digitalizzazione delle centrali telefoniche ha, nei più recenti anni, offerto nuove occasioni di interattività fra pubblico a casa e studio televisivo. Una delle forme più diffuse è diventato il televoto, usato nelle più svariate circostanze, nel salotto politico di Bruno Vespa come nell’arena calcistica di Aldo Biscardi, per l’elezione di Miss Italia o per decretare l’estromissione del “nominato” di turno nelle trasmissioni tipo Il grande fratello.
Alla telefonata tradizionale si è poi aggiunto il contributo di Internet e dei telefoni cellulari.
In alcune trasmissioni televisive è ormai abitudine leggere e-mail e sms spediti dagli spettatori durante il programma.
 
Il telefono e la radio: Chiamate Roma 3131

Risale al 7 gennaio 1969, sulle frequenze del Secondo Programma, l’inaugurazione di Chiamate Roma 3131, una vera e propria trasmissione-manifesto: due ore in diretta con gli ascoltatori, invitati a raccontare storie, casi e problemi personali. I conduttori, trasformatisi in “confessori laici”, facevano da tramite, sempre attraverso il telefono, con esperti dei settori più vari e con personaggi dello spettacolo,  fronteggiando le richieste e i temi più disparati, selezionati da cinque telefoniste, le “ragazze pettine”, come vennero subito chiamate nel gergo della trasmissione. Tecnicamente la possibilità di utilizzare il telefono in diretta era già possibile da molti decenni, ma fino al 3131, temendo di non riuscire a controllare gli interventi del pubblico, prudenzialmente si era preferito fare intervenire gli ascoltatori “in differita”: questi potevano scrivere o telefonare avanzando le loro richieste (musicali, di informazioni ecc.) di cui nelle successive trasmissioni si sarebbe tenuto conto. Unica eccezione che si ricordi, un programma intitolato Vostro amico, andato in onda nel 1949. Il telefono era allora utilizzato per le richieste musicali, che, comunque,  anche in quel caso,  erano spesso corredate da “confessioni”.
Chiamate Roma 3131 fu un termometro altamente significativo dei cambiamenti che si stavano verificando nel costume italiano negli anni Sessanta e un’anticipazione di quell’idea di radio fatta attraverso gli interventi degli ascoltatori che avrebbe alimentato buona parte della programmazione di molte emittenti “libere”, innumerevoli a partire dalla seconda metà degli anni Settanta.  Se nelle prime trasmissioni le telefonate riguardavano più che altro richieste e consigli su questioni medico-scientifiche, poco a poco gli argomenti cominciarono a sconfinare sui versanti insidiosi della psicologia e, caso fino ad allora inedito oltre che accuratamente evitato, nelle sfere più intime del privato, della morale e della sessualità. Anche il  lavoro aveva però un suo spazio. E’ questo il caso della puntata dedicata al part time, andata in onda il 23 marzo del 1982, in cui protagonista è la Sip, fra le prime società italiane ad aver sperimentato il nuovo orario lavorativo e il conseguente nuovo sistema di lavoro. In diretta dalla Direzione Generale Sip di Roma  intervennero il direttore del personale, il responsabile del servizio di gestione delle risorse e diversi dipendenti. Documentano quell’evento - un momento importante di comunicazione esterna vista la grande popolarità della trasmissione soprattutto fra il pubblico femminile e delle casalinghe in particolare - le riviste aziendali  «Selezionando Sip» e «Cronache dal gruppo» della Stet.
 
 
Un onnipresente connubio
 
Chiamate Roma 3131 fu la trasmissione che precorse il  connubio tra telefono e radio che sarebbe andato via via facendosi più stretto e ineludibile. Dopo il 1975, con l’avvento delle radio libere, il telefono fu subito adottato da emittenti di vario tipo per un dialogo diretto con il proprio pubblico, sia che fosse formato da appassionati di canzonette, che cominciarono a inondare i programmi con le loro dediche, sia che si trattasse di militanti politici o cittadini interessati a intervenire nel dibattito pubblico, desiderosi di confrontarsi o di esprimere la propria opinione. Non mancavano le radio di quartiere, caratterizzate dalla messa in onda di un fitto intreccio di telefonate fra lo studio e il suo ristretto pubblico, fatto di amici, parenti e conoscenti. Nel 1986 fece scalpore Radio Radicale, che lasciò, per vari giorni, i microfoni aperti, senza “filtro”, agli ascoltatori, che avevano a disposizione un minuto ciascuno per dire quello che volevano. La radio fu sommersa da centinaia e centinaia di telefonate, molte delle quali contenenti irripetibili insulti o minacce. Fu quella una provocazione, a cui mise fine l’intervento della magistratura. Attualmente è difficile pensare a una radio, locale o nazionale, non confortata dalla presenza attiva degli ascoltatori che un tempo avevano a loro disposizione per partecipare solo la comunicazione postale. Oggi, tramite il telefono, la posta elettronica e gli sms, il pubblico interviene in diretta per chiedere consigli, esprimere pareri, partecipare a giochi. Sono spesso proprio gli ascoltatori che con la frequenza dei loro interventi certificano il successo o meno di un programma. L’uso del cellulare ha aumentato la pratica dello scambio di comunicazione tra emittenti e ascoltatori, spesso in viaggio in automobile.


La stampa aziendale dedicò sempre particolare attenzione all’uso del telefono negli altri media,...
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In queste pagine della stampa aziendale le riflessioni di Romano Milani (capo servizio spettacolo...
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