Molteplici identità e terminale unico

Gli oggetti hanno una storia fatta di usi e interpretazioni diverse; nel determinarne gli usi non è secondario il modo in cui essi sono “pensati” e cioè come viene percepita la loro “identità”. Il telefono cellulare ha suscitato veri e propri sentimenti di ostilità e ripulsa, ma ha anche attratto in modo irresistibile, a prescindere dall’uso oggettivo che dello strumento è stato fatto. Un oggetto “maleducato”. In Italia l’ingresso sul mercato dei telefonini sollevò un vero e proprio coro di “no” contro quello che era considerato lo status symbol di antipatici yuppies, maleducati e cafoni, come spesso i nuovi ricchi.


La stampa estera, di frequente specchio limpido e sintetico dei luoghi comuni più diffusi nel nostro Paese, diede conto dell’invasione dei cellulari in Italia sottolineandone gli aspetti più sgradevoli. Il “Wall Street Journal” del 12 dicembre 1994 lamentava, per esempio, l' impossibilità di fare una passeggiata nei parchi italiani o di prendere il caffè in un bar senza venire aggrediti dai trilli elettronici dei telefonini. ''Le conversazioni cellulari sono ormai così frequenti - veniva affermato - che la presidente della Camera è stata costretta a vietare l'uso dei telefonini durante le sedute parlamentari''. Il problema non riguardava però solo il Transatlantico. L’agenzia di stampa tedesca “Reuter” segnalava, nel febbraio 1995, la presenza del telefonino addirittura all’interno dei confessionali e nel marzo dello stesso anno una giornalista francese riferiva, con ribrezzo su “Le Monde”, che “i romani più maleducati si portano appresso il cellulare anche al ristorante”.
 
 Proposte di bon ton

L’avversa campagna stampa contro il telefonino non poteva lasciare indifferenti coloro che lo avevano con successo lanciato sul mercato. “E' tempo di 'bon ton' anche per chi utilizza i cellulari”. Così titolava l’Ansa nel settembre 1994 la notizia della pubblicazione di un opuscolo messo a punto da Telecom Italia per tutti coloro che aspiravano a diventare ''parlator cortesi'' nell'era della comunicazione di massa dilagante. Squilli inopportuni, post-yuppies che ostentavano il loro ruolo sociale, riunioni di lavoro interrotte dall'incomodo ''servizio'', sospetti di confidenze ''particolari'' da parte di mogli o mariti gelosi, avrebbero potuto essere evitati a favore di un uso ''gentile'' del mezzo. “Il telefonino ha già cambiato le abitudini di vita della società contemporanea e demonizzarlo - si legge nella proposta di galateo distribuito in oltre 4 milioni di esemplari - non serve a niente se non ad alimentare un tabù etico ingiustificato. Basterebbe, infatti, un uso corretto del mezzo per permettere al cellulare di essere quello che è: uno strumento di comunicazione comodo, spesso indispensabile, a volte necessario per risolvere problemi, anticipare i soccorsi, evitare danni di ogni genere. Bisogna però saperci parlare”. Vari i consigli forniti agli utenti: per esempio tenere bassa la suoneria, evitare di sfoggiare il telefonino, nasconderlo agli sguardi indiscreti (e invidiosi), dare il numero soltanto per ricevere chiamate importanti, chiamare sempre prima in ufficio e poi al telefonino, evitare il più possibile di tormentare i vicini in treno, al ristorante, allo stadio. Una risposta alla maleducazione veniva data anche con il lancio di nuovi servizi, che avrebbero agevolato un uso più discreto del cellulare, aumentandone le potenzialità: i sistemi di segnalazione silenziosa, la segreteria telefonica centralizzata e il trasferimento di chiamata, in grado di compensare la delusione di chi ritenesse il cellulare spento un gesto poco educato.
 
 L’aria di villeggiatura e l’unità della famiglia

Dall’estate del 1992 il cellulare cominciò a comparire sulle spiagge e sui monti. Il potenziamento della rete in quell’anno si diresse infatti verso le località turistiche della penisola dove particolarmente alta era la richiesta di copertura del segnale. Da allora il telefonino è diventato un sempre più inseparabile compagno dei vacanzieri, sotto l’ombrellone come nelle valli di montagna. Nella storia del suo così incontenibile successo non secondaria è l’avvenuta penetrazione nei luoghi e nelle ore tradizionalmente dedicate alla lontananza dal lavoro e dagli obblighi quotidiani. Andare in viaggio per vacanza o permettersi un soggiorno estivo in luoghi ameni per moltissimi italiani è stata una conquista tanto recente quanto irrinunciabile. Quella lontananza dalla routine quotidiana, così desiderata, è però, forse, anche portatrice di ansie e sensi di colpa che il telefono portatile aiuta a tenere in qualche modo a bada. Se lo si desidera, il mezzo consente di essere “accessibile” agli altri 24 ore su 24, e gli altri, almeno ipoteticamente, sono altrettanto raggiungibili, ogni qual volta un desiderio impulsivo o una necessità lo richiedano. Il telefonino è dunque pensato come uno strumento positivo rispetto all’obiettivo di tener unita la famiglia, consentendo di verificare in ogni momento presenze e spostamenti di componenti sovente in movimento; contemporaneamente, permettendo di ritagliare spazi di privacy impensabili rispetto alle possibilità offerte dal telefono fisso di casa, può essere uno strumento che, in senso opposto, favorisce evasioni ed emancipazioni.
 
 Dai casi di cronaca

Nel corso degli anni da poco trascorsi innumerevoli episodi hanno portato il telefonino alla ribalta della cronaca. Un prete di Genova nel maggio del 1995, per giustificare l’inopportuno squillo del proprio cellulare durante una funzione religiosa, si appellò al dovere di essere sempre a disposizione di chi richiedeva il suo aiuto e soccorso. Grazie al telefonino, un arbitro di prima categoria nel gennaio dell’anno successivo si era salvato dall’ira dei tifosi rivolgendosi alla polizia. “Contro le vipere non portate il siero ma il telefonino” fu la raccomandazione, diffusa dalla stampa nell’agosto del 1998, del responsabile di un centro antiveleni. Ripetutamente, durante gli esami finali, numerosi maturandi sono stati sorpresi a chiedere “aiuti esterni” tramite cellulare. A Varese nella primavera del 1998 ha suscitato scandalo l’inchiesta di un giornale locale secondo cui più della metà degli studenti del liceo si recava a lezione portando con sé il telefonino. A Civitavecchia, nel marzo 1999 era finita con un accoltellamento una disputa in un bar iniziata tra due avventori che vantavano di avere ognuno il cellulare più bello dell’altro. Sono solo alcuni fra gli innumerevoli esempi che, pur nella specificità che li ha portati ad essere fra le notizie di agenzie di stampa, possono aiutare a suggerire i diversi modi in cui è stato “pensato”, oltre che usato, il telefono portatile: un “obbligo” per chi concepisce la propria reperibilità come un dovere; un “salvavita” da non dimenticare per tutti i casi di emergenza; un “facilitatore” per usi propri o impropri; un “inseparabile congegno” da portare sempre con sé con la stessa naturalezza con cui si indossa un orologio da polso; uno “status symbol” attraverso cui manifestare aspetti della propria personalità, dimostrando non soltanto la propria capacità di spesa ma anche la propria competenza rispetto a innovazioni tecnologiche e mode.
 
 L’illusione del “guinzaglio”

Nel 1998 fece discutere la proposta di lanciare sul mercato un mini-telefonino semplificato, con numeri prefissati in memoria e sbarramento verso ulteriori chiamate, destinato a bambini dai 5 ai 14 anni. Molte furono le reazioni negative in cui si denunciava la rincorsa continua alle nicchie di mercato e quindi anche l'uso strumentale dei bambini nella ricerca di nuovi consumatori. “Ma a parte questi aspetti più economici - dichiarò all’Ansa il pedagogista Piero Lucisano - mi preoccupa la sorte dei bambini. C'è il rischio che un ragazzetto non riesca neppure a giocare un'intera partita di pallone perché interrotto dal trillo del suo telefonino lasciato a bordo campo o che una gita con gli scouts nei boschi finisca per diventare un concerto di sonerie”'. Come antidoto lo studioso si affidava alle risorse dei bambini. “'E' probabile che alla fine il baby-cellulare si imporrà ma sono certo che i mini-utenti impareranno a spegnerlo come facciamo noi adulti”'. Fortemente contrario al progetto si dichiarò anche lo psicologo infantile Adriano Ossicini: “Bisogna rispettare i piccoli nel loro sviluppo - ammoniva -, il baby-telefonino renderebbe la vita dei bambini sempre più lontana dalla loro età e sempre più simile a quella degli adulti. Non possiamo dotarli di strumenti per grandi solo perché gli adulti sono pieni di angosce”. Il progetto non ebbe seguito. La discussione che ne era scaturita era rivelatrice dell’ansia degli adulti e del loro desiderio di controllare i movimenti dei figli a distanza. Di fatto il telefonino è ormai diventato un oggetto di uso comune per ragazzi e ragazze a partire dall’età di 10, 11 anni. I ragazzi lo reclamano come oggetto indispensabile, perché lo possiedono gli altri compagni, per moda, come segno di un passo in avanti sulla strada dell’emancipazione. Per i genitori il cellulare in tasca dei figli minorenni è forse l’illusione di avere a disposizione una sorta di “guinzaglio” elettronico evoluto, che, almeno teoricamente, permette loro di sapere sempre dove sono e cosa fanno i figli. Poco importa poi se i ragazzini rispondono una cosa qualsiasi alle tante chiamate di mamma e papà.
 
 I messaggini e il fascino della scrittura

L’uso che i più giovani hanno fatto del cellulare ha introdotto nuove forme di comunicazione e nuove mode anche fra gli adulti. Sono i ragazzi che hanno lanciato la moda di sempre nuove musichette da sostituire a più standardizzate suonerie, ma soprattutto hanno fatto affermare il cellulare come un nuovo vettore per la comunicazione scritta attraverso l’uso degli sms, i messaggini. Il successo degli sms dipende sicuramente dal loro costo irrisorio rispetto a quello di una conversazione sia pur breve, cosa di certo non trascurabile per ragazzi più responsabilizzati nei confronti del consumo della tessera ricaricabile di quanto non lo siano rispetto al pagamento della bolletta telefonica di casa. Ma probabilmente la spiegazione del perché i ragazzi facciano un così entusiastico uso di sms risiede nel fatto che i messaggini aderiscono intimamente, più di quanto non si fosse immaginato, alle forme della comunicazione giovanile: sostituiscono l’antico biglietto amoroso, di autore anonimo o conosciuto, si prestano a scherzi, facilitano la scrittura breve. E’ nella scrittura, d’altra parte, che gli adolescenti di ieri e di oggi hanno spesso trovato il più sicuro alleato per superare timidezza e insicurezza.
 
 
 Miliardi di sms

Le statistiche del 2002 indicavano che in Italia erano stati trasmessi in media 2 miliardi di sms al mese, in pratica come se ogni italiano, compresi bambini e lattanti, ne avesse spediti circa 432 all'anno. Nel mondo si calcolava che nel primo trimestre del 2002 si sarebbero scambiati 75 miliardi di SMS.
Nel 2008, secondo i dati pubblicati da Agcom (11 maggio 2009), gli sms inviati in Italia avevano raggiunto quota 60 miliardi.