Il “riscatto parziale” del 1907
Nel 1907 lo Stato nazionalizzò le reti appartenenti alle due società telefoniche maggiori: la «Società generale dei telefoni ed applicazioni elettriche» e la «Società telefonica per l'Alta Italia». Con questo “riscatto parziale” lo Stato arrivava a gestire la maggioranza degli utenti, circa tre utenti su quattro, concentrati in particolare nelle città più grandi; restavano comunque in mano ai privati il 67% delle reti urbane e il 30% di quelle interurbane. Nel luglio 1907 rimasero in vita una settantina di concessionarie con 103 reti urbane, 135 posti pubblici, 11.490 abbonati e 81 linee interurbane. L’ amministrazione statale iniziò la sua opera con 38 reti urbane, 215 posti pubblici, 31.244 abbonati, 164 linee interurbane e 9 linee internazionali.
Gli anni che videro l’intervento diretto dello Stato nel settore telefonico furono particolarmente travagliati. Gli impianti riscattati dalle principali compagnie risultarono obsoleti giacché le concessionarie si erano ben guardate dal procedere a investimenti in vista della cessione; i medi e piccoli concessionari non assorbiti dallo Stato, ritenendo precaria la propria posizione, chiedevano maggiori assicurazioni e a loro volta si astenevano da nuovi investimenti. I servizi erano percepiti come sempre più scadenti e più alte in quegli anni furono le proteste degli abbonati. La guerra aggravò inevitabilmente la situazione distraendo ogni possibilità di finanziamento a favore dello sforzo bellico.
Gli esiti della prima nazionalizzazione
Il riscatto telefonico si rivelò alla fine un fallimento, in particolare se si considerano gli obiettivi che si volevano conseguire con la nazionalizzazione.
Non si riuscì a far fronte all'arretratezza del servizio telefonico nel sud d'Italia: alle soglie della guerra la densità telefonica dei compartimenti settentrionali era simile a quella delle più evolute nazioni europee, mentre quella delle zone meridionali si avvicinava a quella dei paesi più arretrati.
Le società concessionarie escluse dal riscatto si rivelarono poi particolarmente attive, con tassi di crescita degli abbonati superiori a quelli registrati per le reti statali. A pochi anni dalla nazionalizzazione si verificò inoltre un notevole incremento del personale telefonico, da più parti giudicato eccessivo rispetto alle reali esigenze.
Ripensamenti
Molti di coloro che con maggiore convinzione, durante il primo decennio del secolo, avevano sostenuto l’opinione che spettasse allo Stato gestire direttamente il servizio pubblico, nel corso degli anni successivi finirono per cambiare radicalmente idea. L’ amministrazione statale si era dimostrata infatti del tutto inadeguata alle esigenze di un’ industria che era ben più “esposta” di altre al giudizio dell’opinione pubblica. Il controllo degli utenti sul suo buono o cattivo funzionamento, infatti, era più diretto e immediato di quanto non accadesse per altri servizi dello stesso dicastero, come i telegrafi e le poste. Ne derivarono in quel periodo così alte proteste e lamentele da contribuire a incrinare significativamente l’immagine dell’amministrazione statale, che già di suo non godeva proprio di buona stampa.
Nel 1915 la maggioranza di governo e il nuovo ministro delle Poste Riccio si schierarono a favore del progressivo disimpegno dello Stato dal servizio telefonico. A ciò seguì la proroga anticipata delle concessioni in corso.