Le telefoniste

Sin dalle sue origini la storia del telefono fu caratterizzata dalla presenza di una nuova figura professionale: la telefonista. Ma chi erano le “signorine” e che mansioni svolgevano all’interno delle imprese telefoniche?
Si trattava inizialmente di lavoratrici non specializzate il cui lavoro non era assimilabile né al lavoro degli operai di fabbrica, infatti pur avendo a che fare con delle macchine non producevano beni materiali, né a quello svolto negli uffici dalle dattilografe o stenografe.
In origine erano essenzialmente operatrici di commutazione presso le centrali telefoniche manuali urbane ed interurbane; a loro era affidato il compito di mettere fisicamente in collegamento le linee tra gli utenti.


 
La conquista della “rispettabilità”

Il lavoro delle centraliniste nei primi decenni dalla loro comparsa, e cioè a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, era particolarmente faticoso dal punto di vista fisico nonché stressante. Costrette a vivere in un continuo squillare di telefoni svolgevano, in un primo tempo in piedi, un lavoro ripetitivo, monotono e snervante, utilizzando apparati tecnologici inadeguati, causa di continui disservizi e di frequenti proteste da parte degli utenti. Non era raro che venissero giudicate cattive lavoratrici e per questo anche ingiuriate, non solo a causa dei disservizi: “Allora gli utenti telefonici erano meno esigenti, ma ci trattavano come se fossimo ragazze di strada; ora qualcuno la pensa ancora così, ma la maggioranza sta ricredendosi” - raccontava un’anziana telefonista assunta in un paese dell’Italia centrale all’inizio del secolo. La testimonianza, raccolta da Attilio Traini in un volume di memorie aziendali, così prosegue: “Ricordo che i primi giorni tornavo a casa piangendo, avvilita e indispettita dalla gente che mi insolentiva o mi esprimeva frasi tutt’altro che poetiche... (....) il pubblico ci riteneva capaci di tutto, solo perché eravamo telefoniste! Ragione per cui molte compagne non sono riuscite a mantenersi in. ..equilibrio, e la maggior parte ha dovuto lasciare il servizio, abbattute dalla tormenta; quelle che sono rimaste sulla breccia non hanno trovato chi le avesse amate e stimate”. Ma perché un pregiudizio così negativo? Sicuramente metteva in cattiva luce la possibilità di avere, sia pure solo per voce, contatti con estranei fuori dal controllo familiare, anche di notte. Il divieto di impiegare le donne nei lavori notturni fu ratificato solo nel primo dopoguerra aderendo a una convenzione internazionale. Secondo l’anziana telefonista, inoltre, una delle cause che induceva l’opinione pubblica a giudicare malamente le giovani impiegate era la facilità con cui si poteva essere assunte: bastava una raccomandazione influente, e magari non disinteressata. D’altra parte, come aveva scritto Matilde Serao in un articolo su «Il Mattino» dell’aprile 1892, “l’incarico d’impiegata al telefono non richiede né molta intelligenza né molti studi”. La conquista della rispettabilità era una necessità non solo delle lavoratrici ma anche delle aziende, proprio perché le telefoniste finivano per essere presso il vasto pubblico le prime rappresentanti di quelle stesse imprese. A partire dalla seconda metà degli anni Venti l’obiettivo fu perseguito attraverso una più attenta selezione del personale, uno specifico programma di addestramento, una maggiore cura per i locali di lavoro e una valorizzazione del personale femminile, anche attraverso le pagine dei giornali aziendali, ma soprattutto tramite l’applicazione di un rigido regolamento disciplinare alla cui vigilanza erano delegate le “capoturno”. Le virtù necessarie sarebbero state quelle di “donne speciali”, capaci di “perdere la propria personalità” ma anche di intervenire sempre in modo appropriato. Una specie di “terzo sesso”.
 
 L’automazione delle centrali telefoniche

L’innovazione tecnologica che portò progressivamente all’automazione delle centrali telefoniche, le quali non richiedevano più la presenza di un operatore addetto alla commutazione, non significò la scomparsa delle telefoniste. Queste continuarono a essere un elemento centrale per le aziende telefoniche sia per le comunicazioni interurbane - il completamento della teleselezione nazionale si compirà solo nel 1970 - sia come operatrici dei “servizi speciali”. Proprio la diffusione dei servizi speciali (sveglia, ora esatta, informazioni elenco abbonati, chiamata taxi, informazioni sportive, ecc.), a partire dagli anni Cinquanta, contribuì a consolidare e qualificare la figura della telefonista che continuò a essere il primo elemento di interfaccia tra gli utenti e l’azienda.
 
 L’organizzazione per “gruppi di lavoro”

Il lavoro delle telefoniste, già fortemente modificato dall’avvento della teleselezione integrale, fu riorganizzato con il rinnovo del contratto collettivo di lavoro del 1978. La nuova organizzazione prevedeva l’articolazione del settore in Centri di lavoro di commutazione (Cdl/c), unici per agenzia. Nei nuovi centri fu convogliata l’attività legata all’espletamento dei servizi speciali, mentre il traffico interurbano manuale (servizio 10), che rappresentava ormai soltanto lo 0,5% del traffico interurbano globale di competenza Sip, fu progressivamente concentrato nei Centri di compartimento (corrispondenti solitamente alle agenzie situate nei capoluoghi di regione).
Le operatrici dei nuovi Cdl/c erano in più stretto collegamento con i settori commerciale e amministrativo, svolgendo compiti come la prenotazione commerciale, l’evasione diretta di informazioni generiche, i sondaggi di opinione telefonici, ecc.
Un’altra novità fu l’introduzione dell’istituto del “lavoro promiscuo” che prevedeva la possibilità di un distacco degli operatori, per periodi programmati e previo il necessario addestramento, presso gli uffici.

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