Dal momento della sua prima comparsa, nel 1881, fino agli anni Venti il telefono continuò a essere percepito come una nuova tecnologia che nella quotidianità suscitava meraviglia e ammirazione, ma nella realtà di tutti i giorni riguardava una ristretta élite. Al di là di una rapida e breve diffusione iniziale, tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta dell’Ottocento, che posizionò l’Italia al pari se non più avanti di altri paesi europei e nordamericani, il telefono stentò per molti decenni a conquistarsi un posto come oggetto d’uso e consumo diffuso tra gli italiani.
Le cause di ciò furono molteplici: tra queste, quella probabilmente più determinante era legata al problema dei costi elevati per gli abbonati.
A ciò si aggiungeva una marcata differenza nella distribuzione della ricchezza tra città e campagna e tra aree industrializzate del nord e il sud del Paese; l’alternarsi tra una totale frammentarietà del mercato, con numerosissime imprese sparse sul territorio nazionale, e parziali tentativi di unificazione e nazionalizzazione del servizio a opera dello Stato; l’insoddisfazione e la disaffezione dell’utenza per via delle ancor fragili strutture tecniche e degli apparati di gestione.
Chi sono i primi abbonati?
Nei primi anni della sua comparsa il telefono sembrò riscuotere un certo successo di abbonati. Nel 1885 particolarmente significativi sembravano i dati di diffusione in alcuni grandi centri urbani:
le città di Genova, Firenze, Roma e Milano, ad esempio, possedevano una densità di abbonati che si collocava tra il 6,8 e il 2,2 per mille abitanti, superiore ad altre grandi metropoli europee come Bruxelles (2,1), Parigi (1,4), Londra (0,9), Vienna (0,8) e Madrid (0,6).
La buona performance iniziale già alla fine degli anni Ottanta subì un sensibile rallentamento che portò l’Italia a posizionarsi di gran lunga dietro molti altri paesi europei. Nei primi del Novecento sul territorio nazionale si contavano solo 0,6 abbonati su 1000 abitanti, mentre erano 17,6 in Svizzera, 15,6 in Svezia, 5,1 in Germania, 2,1 in Francia e 1 in Spagna.
Dunque in Italia gli utenti erano pochi, ma chi erano e a quale fascia della popolazione appartenevano?
Gli abbonati del telefono erano una ristretta élite, composta principalmente dal mondo degli affari (la finanza e le banche, l’industria, il commercio e i liberi professionisti) e dalla burocrazia pubblica. Il telefono era visto sostanzialmente come uno strumento per il mondo del lavoro e non come mezzo di comunicazione interpersonale.
In assenza di indagini statistiche e di dati dettagliati sul tipo di utenza tra la fine Ottocento e i primi decenni del Novecento, si può segnalare quanto riportato in un articolo apparso sul n. 3 del 1904 della rivista «Telefono poste e telegrafi». Il testo, che dà notizia di una riunione di utenti telefonici tenutasi il 9 marzo 1904 a Milano, riferisce che l’incontro si tenne presso l‘ “Associazione fra commercianti, esercenti e industriali” di Milano e che un rappresentante di questa venne nominato come componente di una Commissione, cui partecipavano anche la Federazione postale telegrafica e alcuni industriali telefonici, nata ad hoc per studiare la “questione” del telefono e individuare le soluzioni migliori per modernizzare il servizio telefonico.
Il problema della segretezza delle conversazioni
Trascorsi circa due decenni dalla sua prima apparizione, il telefono era un mezzo dallo statuto ancora incerto. Ampie discussioni ruotavano intorno alle sue finalità, a che cosa dovesse servire, a chi conveniva il suo utilizzo e perché potesse sostituire le comunicazioni telegrafiche o in che modo si poneva nei confronti delle comunicazioni via radio, ossia senza fili.
Ma accanto a questo dibattitto, altri importanti aspetti raccoglievano l’interesse dell’opinione pubblica coinvolgendo il sistema telefonico nel suo complesso, compreso, a esempio, lo statuto del personale addetto alle telecomunicazioni. Il problema della segretezza delle telefonate è esemplare riguardo quest’ultimo ambito.
L’avvento del nuovo mezzo avveva comportato infatti un insieme di novità, tra cui la nascita di nuove figure professionali, e prime fra tutte le signorine del telefono che, mettendo in collegamento gli utenti, si trovavano a occupare una posizione nuova e molto delicata: fare da intermediarie in una comunicazione interpersonale.
Se si pensa che il telefono nei suoi primi anni di vita era un mezzo rivolto soprattutto al mondo degli affari, si può allora capire l’attenzione di una parte dell’opinione pubblica verso il problema della sicurezza delle informazioni che viaggiavano sulla linea telefonica e di cui le telefoniste erano le principali protagoniste.
Nella stampa specializzata diversi interventi si occuparono, nei primi anni del Novecento,
del caso del processo di Bergamo, che aveva sollevato il problema della segretezza delle comunicazioni telefoniche e quindi il problema dell’affidabilità del nuovo un mezzo di comunicazione.
Il processo vedeva coinvolti la Banca Bergamasca e la Banca Ceresa. La prima era stata accusata per aver corrotto due telefoniste con l’intento di “sorprendere” giornalmente le telefonate che la Ceresa faceva con i suoi corrispondenti milanesi. Dal processo era emerso che le telefoniste infedeli facevano conoscere alla Banca Bergamasca i “corsi di borsa” che venivano comunicati a Milano dalla Banca Ceresa.
Il problema dell’efficienza
Altri casi giudiziari possono essere considerati spie di “questioni” non risolte. Per esempio le reciproche accuse di scortesia che si scambiavano utenti e personale telefonico. In alcune circostanze si giunse alle aule del Tribunale. Fu quanto avvenne, ad esempio, a Torino nel 1921 in seguito alla querela di una telefonista nei confronti di un notaio che al telefono aveva usato ingiurie ritenute pesantemente lesive della sua dignità e del suo onore. La Direzione compartimentale dei telefoni, allora amministrati dallo Stato, che aveva sospeso il servizio al maleducato utente, si appellò alla sentenza del pretore, che aveva assolto l'imputato, intendendo tutelare in tal modo non solo la dipendente dello Stato ma anche più generalmente le lavoratrici "degne di ogni riguardo".
L’alto tasso di nervosismo era sicuramente provocato da un servizio poco efficiente, di cui la responsabilità non sempre a ragione si attribuiva alle centraliniste, allora uniche "interfaccia" del sistema. Probabilmente, però, la diffusa scortesia degli utenti era anche il frutto di un'abitudine al comando: coloro che potevano permettersi il telefono appartenevano a una ristretta élite sociale ed economica, in un'Italia ancora fortemente gerarchizzata e poco assuefatta a forme relazionali più democratiche.