Il problema della “qualità”

Nel corso degli anni Venti la telefonia si orientò verso un altro settore di ricerca, quello che si poneva come obiettivo il miglioramento delle caratteristiche della comunicazione, anche attraverso l’adozione di standard di qualità rispetto ai quali raffrontare i risultati ottenuti. Il problema della “qualità” riguardò anche l’efficacia del servizio nel suo complesso e coinvolse aspetti diversi da quelli legati al solo segnale.


 
La qualità del segnale e la “trasformazione” della voce umana

La Bell fu la prima a perseguire l’obiettivo del miglioramento delle caratteristiche della comunicazione, grazie all’esistenza delle valvole a vuoto. Queste consentirono la realizzazione di generatori di onde sonore sinusoidali, analoghe a quelle prodotte dalle corde vocali, alle quali accostare i microfoni, mentre dal lato dei ricevitori erano posti degli apparecchi (in sostanza, dei voltmetri) in grado di misurare le caratteristiche delle onde in uscita. In realtà, una misurazione corretta dell’onda all’uscita fu possibile solamente quando si poté
disporre di perfezionati strumenti di misura elettro-acustici.
L’analisi diede in ogni modo risultati utili: si poté verificare che i ricevitori producevano in uscita un’onda che rispondeva bene a certe frequenze (all’interno dello spettro udibile, approssimativamente tra i 0,4 e i 4 chilohertz), e male ad altre.
In sostanza, sia i microfoni sia i ricevitori avevano buon rendimento per frequenze attorno al chilohertz, ma pessimo, ad esempio, per quelle attorno ai 2,5 chilohertz. La qualità del segnale in realtà è dovuta a molti fattori, tra cui il rumore all’orecchio, il ritardo alla risposta e le distorsioni in genere, ma i metodi di valutazione utilizzati in questo periodo tenevano conto solamente dell’attenuazione della potenza sonora dall’emissione alla ricezione e della banda utile di trasmissione, variabile in
funzione della frequenza.
Furono inoltre ideati metodi basati sull’intellegibilità di fonemi particolari (detti logatomi). Si pronunciavano questi fonemi al microfono, e la percentuale di quelli che era trascritta correttamente dall’altra parte della linea dava un’idea della qualità della trasmissione.
 
 Il problema della “qualità” e i metodi statistico-probabilistici

Parlando del servizio telefonico nel suo complesso, la “qualità” è raggiunta quando il cliente riesce a collegarsi con l’utente desiderato attraverso un solo tentativo, e porta a termine la conversazione senza “cadute di linea”. Al fine di ottenere tale obiettivo, proseguendo nella linea già
tracciata dal matematico danese Agner Krarup Erlang (da ricordare l’opera The theory of probability and telephone conversations, del 1909), tra il 1920 e il 1940 furono ottenuti risultati di notevole sofisticazione nell’ambito degli studi sulle funzioni statistico-probabilistiche legate al traffico telefonico.
Nella sua opera Probability and its engineering uses (1928), Thornton C. Fry espose gli esiti di uno studio sui problemi di congestione del traffico delle linee; i suoi risultati sono ancora oggi di notevole importanza per una comprensione teorica del comportamento dei sistemi di questo genere. Fra gli studiosi annoverati in questo ambito ricordiamo Pollaczek, Wilkinson e Feller; grazie a quest’ultimo, in particolare, si ebbe nel 1939 una notevole applicazione di un processo stocastico ai
problemi del traffico. Un processo stocastico è un metodo nel quale si considera la variabilità insita nel comportamento dei sistemi dinamici.

Nell’articolo intitolato Sul numero degli organi di collegamento nelle centrali telefoniche...
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