Nel 1955 da un accordo tra le concessionarie telefoniche e l’Aci (Automobile Club d’Italia) nasceva in Italia il servizio 116 per il soccorso stradale, numero unico valido su tutto il territorio nazionale. La novità non consisteva tanto nel tipo di servizio (la Stipel nel 1930 aveva promosso il servizio di “pronto soccorso” telefonico per i guasti automobilistici nelle città di Torino e Milano) quanto nella sua estensione a tutt’Italia.
Il 116 e la motorizzazione in Italia
A cinque anni dalla sua attivazione, l’uso del servizio di soccorso stradale risultava in continuo e costante incremento. Nel 1960 in tutta Italia le officine abilitate al soccorso Aci collegate al servizio erano 776, di cui 509 dotate di carro gru e 478 aperte anche in orari notturni. Nella zona della concessionaria Stipel nel 1960 le chiamate al 116 furono circa 24.000, di cui 9.170 per il settore di Milano e 10.335 per Torino. Nella zona Teti, invece, le chiamate furono circa 43.000. Il solo centralino abilitato per le chiamate della città di Roma risultava aver trasmesso all’ACI 5276 domande di soccorso, con un aumento del 40% rispetto l’anno precedente. La densità dei telefoni in Italia al 31 dicembre 1961 di poco superava quella motoristica: ogni 100 abitanti 8,39 avevano un telefono, solo 5,85 un’autobile.
Le ragazze del 116
Ai centralini del servizio soccorso stradale delle varie concessionarie telefoniche venivano di solito assegnate le telefoniste più attive e con maggiore esperienza. A loro giungevano, infatti, in ogni ora del giorno e della notte gli appelli disperati di automobilisti in difficoltà sulla strada. Interloquire con loro richiedeva prontezza, precisione e, per i casi più drammatici, una buona dose di “sangue freddo”. Non appena si accendeva il led luminoso rosso la telefonista inseriva la spina per attivare il collegamento telefonico e iniziava a compilare un modulo speciale nominativo con i dati dell’automobilista da soccorrere: autoveicolo, luogo dell’incidente, danni presunti, possibilità di traino o di sollevamento del veicolo. A ciò seguiva la consultazione di una carta geografica provinciale molto dettagliata su cui erano indicate le officine abilitate al soccorso Aci, l’attrezzatura di cui erano provviste, l’orario di apertura e il perimetro entro cui erano abilitate a operare. Individuata l’officina più prossima al luogo dell’incidente, la telefonista provvedeva a stabilire un contatto fornendo tutte le indicazioni affinchè il soccorso potesse essere effettuato velocemente. Molto spesso, anche se non espressamente previsto dal regolamento del servizio, le telefoniste richiamavano l’automobilista per dare conferma dell’invio del soccorso.
La povera Isabella
Secondo quanto si può apprendere da un articolo pubblicato sulla rivista aziendale «Selezionando. Notiziario Teti» del 1960, dedicato al lavoro delle centraliniste del 116, in servizio poteva capitare spesso che a momenti seri e drammatici si alternassero episodi anche comici: «Pronto. Qui servizio Soccorso Stradale. Dica pure, signore». «Un incidente, ho avuto un grosso incidente al trentesimo chilometro della Cassia. Una cosa terribile - la voce dall’altro capo del filo è affannata e angosciata - Mandi subito qualcuno. Ma subito, mi raccomando. La mia povera Isabella è in condizioni paurose». «Cosa le è successo?» chiede impaurita la signorina del centralino della Teti, immaginando già la moglie o la figlia dell’ignoto signore ferita e insanguinata, e contemporaneamente prende a formare il numero della Croce Rossa. «Ha l’avantreno e una fiancata sfondati» «Come? Ma chi è Isabella?» «La mia macchina. Una Borgward Isabella 1500. Sono andato a sbattere contro un albero».
Oggi tutto ciò sembra quanto mai bizzarro, ma in quegli anni, quando l’automobile era un bene tanto raro quanto desiderato e sognato, non era poi così insolito che i loro padroni (prevalentemente uomini) battezzassero affettuosamente le loro auto con un nome di fantasia (rigorosamente femminile).