Nel 1877, a Milano, i fratelli Gerosa effettuarono il primo collegamento telefonico fra il Municipio e il posto di guardia dei pompieri. L'anno successivo si svolse, alla presenza del sovrano, la prima telefonata interurbana: il re ebbe modo di ascoltare all'apparecchio un piccolo programma musicale. Le prime applicazioni e l'originaria denominazione del telefono come "telegrafo parlante" possono essere utili per capire la discussione che si svolse intorno a come "interpretare" il nuovo: il telefono doveva essere considerato come l'evoluzione del telegrafo, rilevante per l'amministrazione e la sicurezza dello Stato, o piuttosto un mezzo del tutto nuovo impiegabile nell'intrattenimento?
ll servizio telegrafico e il concetto di "servizio pubblico"
In Italia il servizio telegrafico era stato, prima dell’unificazione, direttamente gestito dalle amministrazioni statali preunitarie; dopo, da uffici dipendenti dall'amministrazione centrale. Si trattava di un "monopolio di fatto". Si riteneva infatti essenziale, anche a fini di mantenimento dell'ordine pubblico, far sì che lo strumento, che consentiva una così rapida circolazione di notizie, fosse saldamente in mano all'autorità statale. Il monopolio statale era inoltre fuori discussione per l'assenza in Italia di imprenditori e industriali con la capacità economica di gestire il servizio telegrafico su base nazionale. Proprio a partire da questo dibattito, nel corso dell'Ottocento, si giunse all'elaborazione del concetto di "servizio pubblico". Un servizio pubblico, prerogativa dello Stato, per essere tale doveva rispondere, anche solo potenzialmente, ai criteri di necessità e universalità; lo Stato poteva poi a sua volta gestire direttamente o affidare ai privati la concreta gestione, non rinunciando però mai a esercitare una funzione di controllo.
Le prime concessioni del servizio telefonico
Atto di nascita del servizio telefonico in Italia fu il decreto del 1881 del ministro dei Lavori Pubblici Alfredo Baccarini, con il quale si accordarono le prime concessioni ai privati. Nel 1883 il capitolato unico di concessione fu sostituito da tre distinti capitolati che riguardavano le concessioni del servizio telefonico all'interno di un comune, quelle fra comuni limitrofi e le concessioni telefoniche private, in cui la linea telefonica era isolata dalla rete urbana e metteva in collegamento due soli apparecchi telefonici.
Lo Stato si assumeva il compito di “controllare” e non di “incentivare” la nuova impresa. Le concessioni dipendevano dal direttore generale dei telegrafi che fra l’altro doveva anche valutarne l’opportunità, a partire dall’eventuale danno per le casse dello Stato derivante dalla concorrenza al servizio telegrafico da parte del servizio telefonico.
Le società telefoniche e gli utenti
Nonostante le condizioni fossero onerose e poco incoraggianti (basti pensare al canone da pagare allo Stato di 18 lire per ogni apparecchio, al periodo di concessione limitato a tre anni, prorogabile di due anni in due anni, ma risolvibile in ogni tempo e senza alcuna indennità), nel primo anno furono ben 37 le concessioni assegnate: tre per Roma, tre per Napoli, quattro per Milano, cinque per Torino, tre per Genova, due per Bologna, una per Ancona, due per Catania, tre per Firenze, una per Livorno, una per Messina, due per Palermo, due per Sampierdarena, due per Venezia, una per Biella, una per Como e una per Alessandria. Non tutte le società furono poi attive e alcune si accorparono.
Alla fine del 1882 il numero degli utenti complessivi era di 1900; in Francia erano circa 2700, in Inghilterra 2900, in Austria 400, in Svizzera 800, in Belgio, come anche in Germania, erano 2000.
I primi dibattiti sul servizio telefonico
Nel 1887 una commissione di studio promossa dall’allora ministro Genala considerò che la telefonia «costituiva una industria e non un servizio pubblico», consigliava dunque di lasciare l’esercizio ai privati, auspicando che fosse assegnata una sola concessione per area urbana, mentre proponeva la compartecipazione dello Stato e dei concessionari alla costruzione e gestione della rete intercomunale. L’anno successivo l’allora ministro Saracco, condividendo le opinioni della Commissione, presentò due disegni di legge secondo cui le concessioni sarebbero state accordate per un lasso di tempo significativo, 25 anni, con la facoltà di riscatto da parte dello Stato solo dopo 10 anni. Entrambe le proposte non divennero però mai legge, anche a causa della crisi di governo che portò alla nascita del secondo ministero Crispi.