La legge Branca
Il 10 marzo 1889 venne istituito con Regio Decreto il Ministero delle Poste e dei Telegrafi. Il primo a occupare il neonato dicastero, il ministro Lacava, ritenne il servizio telefonico essenzialmente un “servizio pubblico” e operò per la fine di tutte le concessioni. Decadde prima che le sue intenzioni potessero tramutarsi in atti legislativi. Il suo successore, Branca, fu radicale nel ribaltare ancora una volta le posizioni del predecessore: il telefono, a suo avviso, non possedeva alcun carattere di necessità né di universalità, quindi non era da considerarsi servizio pubblico. Nonostante tali opinioni, nella sua versione finale la legge Branca del 1892, che può considerarsi la prima organica sul settore, espresse un punto di vista decisamente più moderato. Lo Stato rivendicava a sé il diritto di monopolio sul servizio telefonico ma ammetteva che potesse essere esercitato dall’industria privata.
La nuova legge prevedeva delle condizioni più vantaggiose per le concessionarie: la durata della concessione era estesa a 12 anni; il riscatto da parte dello Stato non avveniva più al prezzo di costo degli impianti ma sulla base del rendimento della società; inoltre era stabilita l’unicità delle concessioni urbane.
Le reti interurbane
Ma a chi spettava il compito di investire nelle reti intercomunali? Quale società privata avrebbe rischiato un tale investimento? E con quali garanzie? Nel 1899 l’allora ministro Nasi concepì un disegno di legge, rimasto solo sulla carta, che riservava allo Stato il completo esercizio delle linee interurbane e progettava la prima maglia della rete nazionale con una spesa, non ingente in verità, di £ 2.500.000, da ripartirsi in otto anni. Il successore ministro Di San Giuliano presentò una proposta, anch’essa senza seguito, di segno opposto: la costruzione della rete interurbana sarebbe stata a carico dell’industria privata. Solo nel 1903, con il ministero Galimberti si giunse all’approvazione di una legge finanziata: per la prima volta era data al Governo facoltà di impiantare ed esercitare direttamente le linee telefoniche interurbane. Si delineava in tal modo un sistema misto: esercizio delle reti urbane ai privati, reti interurbane gestite dallo Stato.
Le società telefoniche e gli utenti
Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento si verificò una forte concentrazione dei capitali privati del settore telefonico. In particolare furono due le società a emergere all'interno del settore fino ad arrivare a gestire, verso la fine degli anni Novanta dell'Ottocento, le reti urbane delle maggiori città italiane: la «Società generale dei telefoni ed applicazioni elettriche», che deteneva diverse partecipazioni azionarie di altre società telefoniche, e la «Società telefonica per l'Alta Italia», nata nel 1895 dalle ceneri di due importanti aziende telefoniche del nord Italia, la «Società telefonica piemontese» e la «Società telefonica lombarda». A cavallo tra il XIX e il XX secolo la Banca Commerciale acquisì la maggioranza del pacchetto azionario di entrambe le società.
Per quanto riguarda lo sviluppo del servizio telefonico, questo periodo fu contraddistinto da un andamento altalenante. L’ultimo decennio del XIX secolo fu caratterizzato dalla crisi del settore telefonico e portò l’Italia tra i paesi europei con la più bassa densità telefonica (con circa 0,6 abbonati su 1000 abitanti intorno al 1900 contro i 17,6 della Svizzera, i 15,6 della Svezia, i 5,1 della Germania e i 2,1 della Francia). Gli anni che vanno dalla promulgazione della legge Galimberti al 1907 videro invece l’Italia ai primi posti nello sviluppo sia degli abbonamenti urbani che della rete interurbana.