Telefoni bianchi

Il regime fascista intervenne in modo molto diretto nella produzione cinematografica del ventennio, incentivando la produzione nazionale, scoraggiando le importazioni dall'estero, finanziando soggetti e sceneggiature preventivamente poste al vaglio di una commissione politica, imponendo uomini di provata fede fascista ai vertici della Direzione Generale della Cinematografia e dell'Istituto Luce, applicando severe norme di censura. Non una pellicola con argomenti sgraditi al regime fu prodotta o circolò in quegli anni.


Ciò non significa però che tutta la produzione di quel periodo, né quella prevalente, fosse basata su film esplicitamente di propaganda, come Camicia nera di Giovacchino Forzano o Vecchia Guardia di Alessandro Blasetti. Quando, dopo il 1936, i film americani scomparvero del tutto dal circuito italiano, in seguito all'embargo decretato dalle majors americane per l'aggressione dell'Italia all'Etiopia, la produzione di commedie brillanti fatte in casa subì un decisivo incremento. Erano quelli gli anni della grande illusione e il regime raggiunse allora l'apice del consenso interno: l'Impero era stato proclamato e in molti speravano che nell'Italia divenuta grande potenza il benessere, se non proprio la ricchezza, fosse ormai dietro l'angolo. La vita rappresentata al cinema, nelle commedie in cui recitavano le grandi dive italiane del momento, era quella dell'alta società di un paese spesso del tutto "inventato", un'immaginaria Ungheria. Splendide contesse, in fruscianti vestaglie di seta, intrecciavano conversazioni e intrighi utilizzando telefoni rigorosamente bianchi.
 
 Un paradosso
 
E' un paradosso interessante il fatto che l'immagine del " telefono bianco", simbolo di lusso sfrenato e di benessere consolidato nelle patinate commedie all'ungherese, sia stata adottata anche nei documentari istituzionali promossi per sostenere la diffusione del telefono, nonostante gli sforzi fatti in precedenza proprio per convincere del fatto che quello strumento non era solo "per ricchi" ma piuttosto dovesse essere considerato un bene indispensabile per le famiglie di tutti i ceti sociali. Un esempio interessante di ciò è costituito dal cine-documentario Pronto!?! Chi parla? realizzato nel 1941 allo scopo di illustrare i progressi raggiunti nel campo della telefonia. Obiettivo del documentario, teorizzato da tempo dalle aziende telefoniche, era fare crescere fra gli utenti e presso l'opinione pubblica in generale la conoscenza degli apparati che presiedevano il servizio telefonico, sia dal punto di vista tecnologico sia dal punto di vista organizzativo. Ebbene, l'audiovisivo destinato a illustrare il lavoro delle centraliniste alacremente all'opera, la frenesia dei selettori in movimento nelle centrali, la competenza di tecnici e di tutto il personale, ha inizio proprio con la scena di una dama che dal letto della sua stanza languidamente risponde a un telefono rigorosamente bianco. Quell'immagine, imposta da tante pellicole di successo, era diventata un'icona familiare, con tutta probabilità più efficace dal punto di vista promozionale di tanta propaganda che, con argomenti ben più razionali, voleva convincere sull'utilità dell'oggetto. Rispetto alla vita quotidiana degli italiani il telefono al cinema era senza alcun dubbio sovraesposto. Se nel 1936 si raggiunse l’obiettivo di un allacciamento telefonico ogni cento abbonati, nel Mezzogiorno quel traguardo fu raggiunto solo nel 1955.
 
 Il telefono come ingrediente narrativo al cinema e a teatro

Il telefono nelle commedie all'ungherese, ma anche in quelle precedenti della prima metà degli anni Trenta, come per esempio in La telefonista del 1932, svolgeva spesso una funzione fondamentale nell' intreccio narrativo fondato sull'equivoco e lo scambio di persone o anche sull'incontro amoroso fra persone che difficilmente si sarebbero potute incontrare perché appartenenti a ceti e ad ambienti diversi. Oltre che nel genere commedia, il telefono è spesso stato, ed è tutt'ora, fra i "protagonisti" dei film "gialli", dei film "noir" e, nei tempi a noi più recenti dei film di fantascienza. L'effetto "angoscia" è assicurato se dall'altro capo del filo a rispondere è una voce tanto minacciosa quanto sconosciuta o se il telefono resta "muto": le sicure mura domestiche che fino a quel momento avevano protetto e rassicurato, sembrano improvvisamente venir meno e sbriciolarsi. Il telefono come "ingrediente" ed espediente narrativo era stato già scoperto dal teatro dei primi decenni del secolo. Grazie ad esso era stato, per esempio, possibile rompere, in modo realistico, l'antica regola classica dell'unità di luogo o dare nuovi spunti a performance teatrali di un solo attore che, grazie alla finzione del telefono, trasformava monologhi in finti dialoghi con un interlocutore assente. In tempi a noi più recenti le "conversazioni telefoniche" dell'attrice Franca Valeri furono un grande successo popolare in teatro e in televisione. Per tutto ciò, fra le due guerre, in alcuni generi cinematografici e teatrali, il telefono risultava "sovraesposto" rispetto alla quotidianità degli italiani medi, che probabilmente ebbero allora più familiarità con le immagini in celluloide che non con il doppino di rame. Solo alla vigilia della seconda guerra mondiale, infatti, fu raggiunto l'obiettivo di un allacciamento telefonico ogni cento abitanti. Nel Mezzogiorno quel traguardo fu ottenuto solo nel 1955.