Il primo agosto 1925, un mese dopo l'inizio delle attività delle concessionarie, fu edito a cura della Stipel il primo numero del bollettino «I telefoni d'Italia», un nuovo mensile destinato agli abbonati effettivi e potenziali del telefono. Si trattava, come rilevò «Sincronizzando», la rivista destinata al personale della Sip, di un'esperienza del tutto originale per l'Italia: "E' questa certo la prima volta, nella storia dell'industria italiana in cui la società si rivolge agli utenti suoi, offrendo loro con un foglio distribuito gratuitamente il mezzo di mantenersi in contatto con essa; li invita a denunziare le imperfezioni, a collaborare perché il servizio possa raggiungere una sconosciuta perfezione, li tiene al corrente dell'opera compiuta e da compiere”. Erano i primi passi delle nuove “relazioni pubbliche”, una pratica di comunicazione adottata dalle grandi compagnie americane proprio nel corso dei ruggenti anni Venti.
Le pagine del periodico, che ebbe vita tanto breve (solo un paio di anni) quanto intensa, offrono spunti di riflessione significativi per la storia del telefono proponendo di quel mezzo il “punto di vista” dei produttori alle origini.
“I telefoni d’Italia”
L’editoriale del primo numero de «I telefoni d’Italia», pubblicato nell’agosto del 1925 e destinato agli abbonati Stipel, fu intitolato Servire. La preoccupazione principale dell’editorialista sembrava essere quella di rivendicare la piena legittimità per un’azienda privata di gestire un servizio pubblico e di convincere che quell’impegno era stato preso molto sul serio: “Noi ci proponiamo di servire il pubblico, di diffondere nei molteplici usi il telefono, di penetrare col nuovo strumento civile nelle zone più povere e più lontane, di migliorare gli impianti esistenti e di crearne di nuovi. La nostra rivista ha per programma di illustrare i mezzi con cui la Stipel e le altre quattro aziende concessionarie intendono raggiungere gli scopi sopra indicati. Sappiamo che purtroppo esistono apprensioni e dei timori. Purtroppo, per vasti strati dell’opinione pubblica, parlare di iniziativa privata significa alludere all’irrefrenabile e minacciosa speculazione, significa quasi voler dimenticare gli interessi generali per favorire l’ingorda ambizione di pochi capitalisti ” .
La propaganda degli utenti e una profezia avverata
“ Verrà il giorno in cui il miglior nostro propagandista sarà lo stesso abbonato, persuaso che aumentando il numero degli utenti aumenterà insieme il numero delle persone e delle aziende colle quali potrà direttamente comunicare, aumenteranno i vantaggi offerti dal telefono, ed i proseliti non saranno mai scontenti del consiglio ricevuto ” . Così si legge sempre sul primo numero de «I telefoni d’Italia» in un articolo dedicato alla riorganizzazione del sistema telefonico. La profezia, al di là della contentezza o meno degli utenti, si è in effetti pienamente avverata, tanto da essere all’origine di un nuovo concetto economico, quello di “esternalità di rete” , messo a punto nella metà degli anni Sessanta da J. Rohlf. Il principio di Rohlf è molto simile a quello esposto nell’editoriale del 1925: nell’economia delle telecomunicazioni l’utilità che deriva dal possesso di un particolare mezzo dipende dal numero dei mezzi già immessi sul mercato. In altre parole l’utilità del telefono dipende dal numero di telefoni con i quali ci si può collegare. Lo stesso varrà in seguito per altri tipi di collegamenti: tramite fax, Internet, o anche cellulare. Questo tipo di constatazione è per qualche verso innovativa anche rispetto alla teoria economica classica. Si ipotizza infatti che le scelte dei consumatori non dipendano solo dalla domanda e dall’offerta del mercato ma anche dalle scelte degli altri consumatori. In altre parole le scelte degli individui sono fra di loro interdipendenti: superata una certa soglia di diffusione, il possesso di un bene, come appunto il telefono, da “scelta” diventa una “necessità ” , proprio perché tutti gli altri lo posseggono.
L’ educazione del pubblico: il “ senso ” telefonico e il modello americano
Fra gli obiettivi espliciti de «l telefoni d'Italia», periodico distribuito gratuitamente agli abbonati, vi era anche quello di diffondere fra gli utenti del servizio il senso dell’importanza del telefono e una cultura adeguata al mezzo. “Come è, ed è stato finora, deficiente il servizio - si legge nell’articolo programmatico che ha per titolo Ai lettori - così è mancato nel pubblico quel particolare “senso ” telefonico, che è la migliore integrazione di un buon servizio. E’ questo “senso” che vogliamo creare. Il telefono sarebbe ben poca cosa se consistesse tutto negli apparati, nelle centrali, nelle linee. I servizi moderni vogliono essere compresi nell ’ importanza del contributo che portano all’intensità della vita (…)”.
Comprendere voleva dire capire le funzioni del sistema telefonico, ma anche le difficoltà e i limiti imposti dall’economia e dalla tecnica ed essere informati su cosa si stesse facendo nei paesi più moderni, e in America soprattutto. La promessa della rivista, nei successivi anni in cui fu edita, fu mantenuta. Numerosi furono gli articoli sugli aggiornamenti tecnologici, sulle novità del settore e sulla vita americana, dove, come si legge in un intervento del gennaio 1927, “il telefonare è comune come il parlare. Gli americani vivono per e con il telefono” . L ’America e il suo sistema industriale, nelle pagine del bollettino, erano il futuro, la modernità, il progresso.
Per gli affari o per le chiacchiere?
“ Quelli che intralciano realmente il servizio sono coloro i quali non ricorrono al telefono per risparmiare del tempo ma per fare delle lunghe chiacchierate inutili: essi danneggiano quegli utenti che hanno bisogno di telefonare per le necessità urgenti delle loro professioni e dei loro affari ” : è quanto si legge in un articolo, pubblicato su «I telefoni d’Italia» nel settembre del 1925, intitolato L’arte del telefonare. Le chiacchiere erano dunque severamente al bando. Una tale raccomandazione derivava dallo sviluppo ancora precario delle linee e delle centrali, poste facilmente in crisi da un traffico intenso, ma probabilmente, come ha suggerito lo storico americano C. Fischer, questo tipo di raccomandazioni era anche la spia di modi diversi di interpretare il mezzo. Se per i gestori del servizio il telefono era soprattutto, come era stato il telegrafo, un mezzo per gestire gli affari, sia quelli delle aziende e delle professioni come quelli delle famiglie, per molti utenti, e soprattutto per le donne, rappresentava invece un’occasione di convivialità. Fu proprio grazie a quest’uso, ritenuto improprio dalle compagnie telefoniche, che il telefono divenne un mezzo di straordinario successo, oggi indispensabile nella nostra quotidianità per il mantenimento degli affetti, delle amicizie, della nostra socialità. Se ancora negli anni Sessanta, sulle riviste aziendali delle società telefoniche, consueta era la satira sulle donne che stavano troppo attaccate al telefono, il messaggio pubblicitario in anni a noi recenti ha totalmente cambiato di segno: non più l’invito a brevi comunicazioni ma a un uso intensivo del mezzo. Alla fine degli anni Novanta, infatti, gli impianti e le infrastrutture significativamente potenziate consentivano un traffico superiore a quello che si effettuava prima.