Gli eventi bellici avevano provocato danni di diversa entità agli impianti e alle reti telefoniche del Paese. Nelle regioni centro-settentrionali, dove operavano le tre società facenti capo al Gruppo Stet, l’entità delle distruzioni risultò per la Stipel pari al 5%, per la Telve pari al 10% e per la Timo pari al 35% rispetto alla consistenza degli impianti all’inizio della guerra. Il numero di abbonati era sceso complessivamente da 346.733 nel 1942 a 269.772 nel 1945. Nella zona Teti (comprendente Lazio, Toscana, Liguria e Sardegna) gli abbonati si erano ridotti da 208.455 nel 1942 a 163.388 nel 1944. Più disastrata fu la situazione nell’Italia meridionale, dove la Set già denunciava, all’inizio della guerra, la più bassa densità telefonica tra le cinque concessionarie: 0,5 abbonamenti ogni 100 abitanti. Alla fine del 1943, a seguito dei bombardamenti alleati e delle distruzioni operate dai tedeschi in ritirata, gli abbonati si erano ridotti da 70.000 del 1940 a 25.000. La totale distruzione della centrale della Borsa, a Napoli, che collegava 20.000 numeri, fu il danno più grave verificatosi in Italia in campo telefonico.
Nell'immediato dopoguerra
I primi anni del dopoguerra furono impiegati dalle aziende telefoniche per sanare le devastazioni belliche; parte della rete era ancora in qualche modo funzionante, ma ridotta in condizioni tali da richiedere una costosa manutenzione. Inoltre la ricostruzione delle grandi città provocava continui spostamenti di cavi. Erano in pratica da rifare le intere reti secondarie di Torino, Milano e di altri centri minori.
Anche la ricostruzione degli edifici sociali danneggiati richiese un lavoro imponente, portato avanti senza interruzione del servizio, provocando un aumento pauroso di spese di esercizio. Un contributo economico e uno stimolo alla pianificazione derivarono dal piano Marshall, varato dal Congresso americano il 3 aprile 1948 per sostenere la ricostruzione di quella parte d’Europa inserita nella sfera di alleanze con gli Usa.
Gugliemo Reiss Romoli
La figura più rappresentativa del settore telefonico nel secondo dopoguerra fu probabilmente quella di Gugliemo Reiss Romoli. Figlio di un commerciante israelita di origine tedesca, Reiss Romoli nacque nel 1895 a Trieste. Dopo la prima guerra mondiale intraprese la carriera bancaria e lavorò prima per la Banca italiana di sconto, poi per la Banca nazionale di credito e infine nella direzione generale della Banca commerciale italiana. Per quest'ultima si occupò, tra il 1930 e il 1931, del salvataggio della società Italgas di Torino procedendo al suo risanamento finanziario. Nel 1932 venne assunto in qualità di esperto tecnico-finanziario dalla Sofindit (Società finanziaria industriale italiana) e in questa veste mise in atto la riorganizzazione delle società telefoniche Stipel, Telve, Timo controllate dalla Sip elettrica, ponendo le basi per la costituzione della Stet (Società torinese esercizi telefonici).
Tra il 1935 e il 1941 fu direttore della sede di New York della Banca commerciale italiana e nel 1946 divenne direttore generale della Stet, dove rimase fino al 1961.
Forte dell'esperienza acquisita negli Stati Uniti, fece sì che la Stet aumentasse periodicamente il proprio capitale sociale tanto da estendere la sua base azionaria. Negli anni della sua gestione infatti gli azionisti iscritti al libro soci crebbero da circa 4.500 nel 1948 a quasi 60.000 nel 1961, anno della sua morte. Sviluppando un processo d’integrazione verticale del Gruppo Stet, Reiss Romoli riuscì a espandere le attività della finanziaria oltre il tradizionale segmento dei servizi telefonici, incorporando via via numerose società operanti nel campo della produzione manifatturiera, come ad esempio la Siemens di Milano, acquisita tra il 1949 e il 1950.
Alla fine degli anni Cinquanta entrarono a far parte della Stet anche le società concessionarie Teti e Set.In occasione della sua morte, il 25 aprile 1961, l’ex presidente della Repubblica Luigi Einaudi, così ricordò la sua figura sulle pagine del «Corriere della Sera»: «Le cifre statistiche avrebbero detto che Guglielmo Reiss Romoli era un grande amministratore della cosa pubblica, uno dei pochi taciturni autori di quello che si chiama “miracolo italiano”, miracolo che da sé non accade, se non ci sono gli uomini, grandi o piccoli, i quali lo fanno capitare».Reiss Romoli restò sempre legato alla sue origini: fu costantemente impegnato in attività assistenziali e benefiche verso i profughi italiani dell’area giuliana e dalmata e fu presidente dell’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati.
Il piano regolatore del 1957
Nel dicembre 1957 venne approvato il Piano regolatore telefonico nazionale (Prtn), con cui si delineavano le norme per l'espletamento di tutti i servizi telefonici: urbano e interurbano, internazionale, servizi speciali e accessori. Il territorio nazionale fu suddiviso in 21 compartimenti telefonici, 231 distretti e diversi settori, comprendenti una o più reti urbane.
Secondo il Piano regolatore nel quadriennio 1959-1962 si sarebbero dovuti allacciare 940.000 nuovi abbonati, portando la densità telefonica a 8,5 apparecchi ogni 100 abitanti e potenziando fortemente la teleselezione. Per realizzare il Piano, per il quale erano necessari 2.299 km di circuito di rete urbana e 615.000 di rete interurbana, era preventivata una spesa di 263 miliardi.
Il progetto si inserì in una fase di straordinario sviluppo economico del Paese con investimenti ben superiori a quelli preventivati. Alla fine del 1962 l’obiettivo di quasi un milione di nuovi abbonati era stato in gran parte raggiunto; i miliardi investiti erano stati 380, di cui 200 nelle zone del centro Italia (Teti) e del sud (Set).
Lo sviluppo del servizio telefonico tra ricostruzione e boom economico
Gli investimenti delle società concessionarie nella rete e nelle centrali furono fondamentali per lo sviluppo del settore telefonico tra l’immediato dopoguerra e la prima metà degli anni Sessanta. Tra il 1946 e il 1963, i numeri di centrale urbana quintuplicarono, a fronte di una crescita altrettanto vistosa degli abbonati; ancora maggiore fu lo sviluppo della rete urbana e di quella interurbana, che aumentarono la loro estensione di più di sei e nove volte. Dopo la crisi degli anni Trenta e i drammi della guerra il settore telefonico registrava nuovamente, dopo la fortunata congiuntura dei primi anni di vita delle concessionarie, un forte sviluppo.
Pur considerando che i dati di partenza italiani erano decisamente inferiori a quelli degli altri paesi europei più avanzati, lo sviluppo fu senz’altro straordinario. Contribuirono a ciò il basso livello delle tariffe, le politiche pubbliche di sostegno e gli sforzi e la volontà di ricostruzione che avevano animato, seppur in modo diverso, le cinque concessionarie.
Nel 1945 in Italia si contavano 1,69 apparecchi telefonici ogni cento abitanti, nel 1963 la media era salita a 9,84. La densità telefonica italiana era ancora distante da quella registrata nei paesi in cui il settore telefonico era più sviluppato: gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e, in Europa, i Paesi scandinavi e la Svizzera, tutti con valori superiori a 20 apparecchi ogni 100 abitanti fino ai 44 apparecchi degli Stati Uniti, ma si avvicinava ormai a quella registrata in Francia, Austria e Germania Ovest.
Sempre nel 1963, la regione con la densità telefonica maggiore era la Liguria con circa 19,4 apparecchi ogni 100 abitanti seguita da Lazio, con il 18,3 circa, e da Lombardia e Piemonte; le regioni con la densità minore erano invece la Basilicata, il Molise e la Calabria, con poco più di 2 apparecchi ogni 100 abitanti. Le provincie con la densità telefonica maggiore erano Trieste, Genova, Milano, Roma e Torino, quelle con la densità minore Caserta, Avellino, Lecce, Nuoro e Frosinone.
Per quanto riguarda le grandi città italiane, al primo posto era Milano: nel 1963 vi erano 43 apparecchi ogni cento abitanti; un valore molto simile a quello registrato a Parigi e Londra. Seguivano Firenze, con 32.9, Genova, con 31, Torino, con 30,8, e Roma, con 30,5 apparecchi ogni cento abitanti. Ben diversa era la realtà del Mezzogiorno, dove la densità telefonica maggiore si registrava a Napoli con 16,9 apparecchi su 100 abitanti.