Il 6 maggio 1976 alle 21 una scossa di magnituto 6.4 ebbe come epicentro la media valle del Fiume Tagliamento, tra i comuni di Tolmezzo e Tarcento. La zona di massima intenesità riguardò l’area compresa tra Venzone, Gemona, Osoppo e Artegna. Complessivamente tra i 119 comuni coinvolti posti tra Udine e Pordenone si registrarono 979 vittime, oltre 3000 feriti e circa 70000 senza tetto.
L’evento sismico del Friuli fu, a partire dal secondo dopoguerra, il più forte terremoto registrato fino ad allora in Italia, successivamente superato solo dal terremoto dell’Irpinia nel 1980.
La centrale di Udine e i primi interventi
Già la notte del 6 e poi nel corso della giornata del 7 maggio, la Sip predispose i primi interventi per far fronte all’emergenza.
Il Centro operativo di coordinamento fu istituito presso l’Ufficio Tecnico Sip di Udine, da cui si coordinò il lavoro di 164 dipendenti (36 impiegati e 128 operai) interni all’Agenzia di zona e di altri tecnici arrivati da altre direzioni ed esercizi aziendali. Contemporaneamente, la Sip predispose una sala stampa presso il Posto telefonico pubblico di Udine, sito di fronte la Prefettura.
Così come era già avvenuto in occasione di altri grandi eventi catastrofici, uno dei problemi che il personale Sip si trovò a fronteggiare riguardò non solo il ripristino del servizio telefonico, ma anche il potenziamento delle strutture telefoniche per fronteggiare l’aumento del traffico. Nella centrale telefonica di Udine Centro, ad esempio, già tra la notte e la mattina del 7 maggio, il livello di traffico telefonico registrava valori di gran lunga superiori alle capacità di assorbimento energetico previste per quella centrale e solo l’arrivo di gruppi elettrogeni speciali da Milano, Bologna, Firenze e Torino ne consentì il funzionamento.
I primi rilievi sul campo a opera dei tecnici Sip evidenziarono 5 settori telefonici fuori servizio, 22 centrali telefoniche danneggiate (ma almeno 10 di esse non registravano danni strutturali agli edifici) oltre che gravi distruzioni sulle reti di distribuzione per via di interruzioni causate da frane e crolli.
Il centro di distretto di Tarvisio risultava solo parzialmente isolato e consentiva, in teleselezione, di raggiungere la città di Udine, mentre per le centrali di Conegliano, Riogolato, Prato Carnico, Forni Avoltri e Sella Nevea si trattava di ripristinare le linee di giunzione sotterranee e aeree.
Seppure in una situazione di forte difficoltà, il lavoro degli operai e dei tecnici Sip consentì, già verso il mezzogiorno del 7 maggio, la riattivazione del servizio presso le 10 centrali che avevano subito danni minori e che coprivano circa l’88% dei collegamenti telefonici (4640 numeri) presenti nell’area terremotata, grazie all’uso di gruppi elettrogeni e batterie di emergenza.
L’importanza delle cabine telefoniche
Tra gli interventi di emergenza più importanti, i resoconti pubblicati sulla stampa aziendale Sip di quel periodo raccontano di cabine telefoniche pubbliche installate a Bula, Forgaria, Gemona, Maiano, Moggio, Osoppo, Trasaghis e Venzone per permettere le comunicazioni tra terremotati e famigliari, con il supporto della stampa e della televisione impegnate nella diffusione dei numeri telefonici. Nel contempo la Sip di Roma inviò sulle zone colpite un “telebus” mobile con lo scopo di incrementare le possibilità di chiamate pubbliche.
Altri allestimenti del servizio, realizzati in collaborazione con l’Asst-Azienda di Stato per il servizio telefonico, riguardarono la creazione di una rete d’operatrice d’emergenza basata su gruppi di circuiti manuali che collegavano i centralini interurbani di Udine con quelli di Mestre, Milano, Roma ed Acilia; il potenziamento delle chiamate in teleselezione; collegamenti diretti tra la prefettura di Udine e il ministero degli Interni di Roma, e collegamenti con la centrale Cselt di Mestre per le chiamate in teleselezione internazionale.