L’automobile, la televisione, il telefono hanno in comune il fatto di essere tre tecnologie “spaziotrascendentali”, che consentono cioè di superare, in modo prima impossibile, i limiti imposti dalle distanze geografiche tra i luoghi. Sono per questo mezzi propri della vita quotidiana “moderna”. Quale dei tre mezzi è entrato per prima a far parte delle abitudini degli italiani? Da cosa è derivata quella scelta e quella preferenza?
I diversi andamenti di diffusione
Il primato del debutto sulla scena italiana spetta al telefono: la prima legge che ne regolamentò il servizio risale infatti al 1881. La fabbricazione di automobili totalmente italiane è di non molto successiva: l’atto di nascita della Fiat, la principale azienda automobilistica, è infatti del 1899. Solo nel secondo dopoguerra, a partire dal 1954, ebbe invece inizio la regolare programmazione televisiva della Rai. Se invece di considerare il momento in cui le tre tecnologie sono state introdotte sul mercato, si volesse fare una classifica rispetto a quale dei tre mezzi sia per primo entrato nelle case e nelle abitudini della maggioranza degli italiani, l’ordine precedente subirebbe una radicale rivoluzione. La televisione, l’ultima arrivata, che partiva da percentuali infinitesimali nel 1954, raggiunse nel 1964 la soglia dei 10 abbonati ogni cento abitanti, al primo posto nelle scelte di consumo delle famiglie italiane, davanti all’automobile e al telefono. Nel 1970, però, secondo i dati Istat, che considerano gli abbonamenti alla Rai ma non l’evasione del canone, si contavano un po’ più automobili immatricolate che televisori: 20 autovetture ogni cento abitanti. Solo nel 1978 il telefono raggiunse quel tasso di diffusione. Nel 1986 gli abbonati al telefono superarono la soglia del 30% sul totale degli abitanti. In pratica, in quell’anno, quasi tutte le famiglie italiane avevano il telefono, alcune avevano più di una automobile, presumibilmente tutte avevano anche già il televisore, anche se la rilevazione Istat dei paganti il canone si attestava al 25%.
Il caso americano
Le scelte di acquisto e di consumo rilevanti in un budget familiare sono determinate da una molteplicità di fattori che hanno sicuramente a che fare con le disponibilità economiche, ma anche con gli esiti di “contrattazioni” fra i vari componenti della famiglia, nonché con desideri, bisogni, percezioni di necessità, “progetti morali”. Lo storico Claude S. Fischer, che ha studiato la diffusione del telefono in America, ha per esempio constatato che nel corso degli anni Trenta, quando in seguito alla grave crisi economica si assistette a una significativa flessione nel numero di utenti, nelle famiglie che avevano il telefono spesso c’era una prevalenza di donne. Nello stesso periodo di crisi, sempre in America, le famiglie operaie preferivano affrontare la spesa dell'automobile piuttosto che sottoscrivere abbonamenti per il servizio telefonico. In quel tempo la famiglia operaia media che possedeva un’auto spendeva per l’acquisto e il mantenimento dell’autovettura sette volte più di quanto spendesse una famiglia con lo stesso reddito per il servizio telefonico. Nel 1970, però, in un periodo di benessere, tutte le famiglie americane, fatta eccezione per il segmento più povero, avevano più telefoni che automobili. Perché le famiglie operaie americane preferirono, in periodo di crisi, l’automobile al telefono, anche se implicava costi molto più alti? Percepivano forse l’automobile, che usavano più per il tempo libero che per andare a lavorare, come un investimento di maggior valore, che dava più prestigio alla famiglia? O piuttosto giudicavano il telefono un lusso a cui si poteva rinunciare, visto che esistevano i telefoni pubblici o erano disponibili i telefoni dei vicini? Nella ricerca di Claude S. Fischer, (Storia sociale del telefono. America in linea 1876-1940, Utet libreria-Telecom Italia, Torino 1994) non sono fornite risposte definitive, anche se nei ricordi dei tanti anziani intervistati dallo studioso emergeva un maggior “entusiasmo” per il possesso dell’automobile rispetto a quello del telefono.
L' "addomesticamento" degli oggetti tecnologici
Nel Libro bianco sulle telecomunicazioni dell’Eurispes, edito nel 1994, in una comparazione a livello internazionale, risultava che nel 1990 la densità telefonica nei paesi “in via di sviluppo”, pari al valore di 5, fosse sensibilmente minore alla densità televisiva, che si attestava sul valore di 30. Nei paesi “in fase industriale” il valore della densità televisiva era di 55, quello della densità telefonica 18; nei paesi “in fase di consumo di massa”, infine, il valore della densità televisiva era calcolato in 80, quella telefonica in 43. Come spiegare perché si preferisse il televisore al telefono in realtà economiche così diverse? E’ forse più “utile” o più “necessario” il primo del secondo, o è solo più “gratificante” il suo uso? Anche in questo caso non abbiamo delle risposte univoche. Fra le ipotesi avanzate per spiegare perché, in contesti così diversi, sia prioritaria la scelta del televisore su altre, vi è quella secondo cui quando la maggioranza della popolazione possiede la televisione, la scelta dell’acquisto dell’apparecchio da opzionale diventa obbligatoria: il rischio è infatti quello di rimanere socialmente tagliati fuori da informazioni e comunicazioni che gli altri danno per scontate. Si possono però tenere presente anche altre ipotesi che hanno a che fare con quello che alcuni studiosi hanno definito con il termine di addomesticamento. Gli oggetti in generale e quelli tecnologici in particolare, quando fanno parte della casa, della famiglia e della quotidianità degli individui, al di là delle loro funzioni, sono anche simboli che possono rispondere ad articolati, anche se non pienamente consapevoli, “progetti morali”. La televisione, per esempio, è vissuta come occasione per riunire la famiglia in casa e per fornire comuni argomenti di conversazione, ma anche come strumento di promozione culturale, e quindi di promozione sociale, come partecipazione paritaria alla più ampia comunità nazionale. In contesti più poveri è status symbol, ma anche mezzo di socialità: le famiglie che la posseggono invitano le famiglie amiche che ne sono prive, così come accadeva in Italia nel primo decennio della sua esistenza. In altre parole, la televisione può far nutrire aspettative di maggiore coesione in casa e di maggiore prestigio e socialità oltre la famiglia.
L'etica del risparmio e la trasformazione dell'Italia
La diffusione del telefono in Italia nel secondo dopoguerra non registrò degli exploit come quelli della televisione e dell’automobile, ma fu lenta e costante. Solo progressivamente, ma inesorabilmente, il telefono ha infatti conquistato un posto stabile nella casa degli italiani. A differenza della televisione, che fu spesso acquistata a rate, la sua penetrazione sembra infatti corrispondere più prudentemente a un concreto aumento di benessere e di reddito. Ma quand’è che il telefono ha acquistato i caratteri di necessità e non solo di scelta opzionale? I dati sulla densità telefonica indicano, nella pur costante progressione, un più significativo incremento a partire dalla fine degli anni Sessanta. Nel censimento che inaugurò quel decennio, la forza lavoro impiegata nell’industria, con il 40,6%, risultò, per la prima volta superiore a quella occupata nell’agricoltura con il 29,1% (era il 41,2% nel 1951). Quest’ultima fu scavalcata anche dal settore terziario. Nel censimento successivo, del 1971, gli addetti all’agricoltura si erano ridotti al 17,2% a fronte degli occupati nell’industria, il 44,4%, mentre nei servizi erano il 38,4%. L’Italia stava dunque definitivamente cambiando pelle, i paesi del Sud andavano spopolandosi, le comunità agricole del Nord, più legate al modello di famiglia estesa, andavano disgregandosi. Nelle periferie delle città industriali, che erodevano via via lo spazio alla campagna, il numero della popolazione era in costante aumento. Quest’Italia era totalmente diversa da quella agricola degli anni Cinquanta, cementata dall’etica del sacrificio e del risparmio, quando la maggioranza degli italiani, pur riconoscendo la “comodità” del telefono in casa, non ne vedeva la “necessità”. Il telefono in casa divenne, invece, “obbligatorio” e insostituibile quando, a partire dagli anni Sessanta, non fu solo il mezzo in uso per le “emergenze”, come era stato a lungo concepito, ma fu lo strumento per tenere legate le famiglie e le comunità disperse sul territorio, per organizzare la quotidianità nelle città, dove le donne sempre più spesso lavoravano fuori casa, per favorire l’organizzazione del tempo libero e della mobilità. Se fra le caratteristiche della modernità vi è la rottura, spesso dolorosa, dei legami comunitari, il telefono fu forse il mezzo che, attutendo alcune lacerazioni, rese in qualche modo più facili anche le trasformazioni radicali del nostro Paese, consentendo di mantenere vivi affetti e vincoli anche a lunga distanza.