Con la ristrutturazione del sistema telefonico del 1925 il telefono comincia a diffondersi più significativamente nella società italiana e con esso si diffondono anche nuove regole d’uso e il lessico del settore. Di quelle novità si appropria, con fertile inventiva, il padre del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, che mutua dal lessico della nuova tecnologia un singolare Regolamento per i telefoni dell’anima.
Anche se l’invenzione è “vecchia” ormai di decenni, continua in realtà a essere “nuova”, confinata negli uffici e nelle dimore alto borghesi, simbolo di modernità e progresso. “Moderne” sono le ragazze protagoniste del romanzo di Alba de Cèspedes, Nessuno torna indietro; al telefono di un bar una chiama l’amato che si sottrae, mentre un’altra, in ufficio, è circondata dagli squilli telefonici che sembrano rincorrersi l’un l’altro.
Le chiacchiere vere da casa sono un lusso che si possono permettere solo gli appartenenti ai ceti agiati, come la famiglia borghese descritta da Natalia Ginzburg in Lessico famigliare, o la protagonista femminile del romanzo di Massimo Bontempelli, Vita e morte di Adria e dei suoi figli, che nel suo isolamento parigino affida al telefono il suo esclusivo universo di relazione. Un telefono giocattolo è quello con il quale si intrattiene per ore il figlioletto di Carlo Rosselli, per stemperare la lontananza dal padre.
Il telefono è infine simbolo del potere. Sul tavolo di Benito Mussolini, nella sala del Mappamondo a Palazzo Venezia, ci sono, come racconta chi lo conobbe da vicino, ben tre telefoni e poco altro.